Il Paradiso può accendere
Vite parallele di Rodolfo Cieri e mio nonno
A un certo punto a mio nonno hanno vietato le sigarette e io sono diventata un prestigiatore. Negli anni della mia adolescenza abitavamo nello stesso palazzo e la sera cenavamo tutti insieme. Nonno Enrico, a capotavola, aspettava il momento giusto per andare in bagno a fumare di nascosto. Non appena mia nonna riportava i piatti in cucina, si alzava, passava accanto a me, io incrociavo le braccia dietro lo schienale e, voilà, gli passavo l’accendino: un trucchetto invisibile alla René Lavand, il mago più lento del mondo e perciò il più bravo. Lui se lo faceva scomparire tra le dita e si richiudeva nella stanza più piccola della casa. Sportivamente mia madre gli lasciava un po’ di vantaggio, poi gli urlava dal buco della serratura: "Ti vedo…fumi!… stai fumando…” Ma prove non ce n’erano perché mio nonno schermava l’osservatorio con un asciugamano. Io e lui facevamo squadra, anche a carte giocavamo noi contro tutti. Avevamo messo a punto un sistema di segni facciali, ovviamente illeciti: un labbro sollevato, un occhio socchiuso, le narici allargate, i bacetti accennati ci rendevano imbattibili e soprattutto complici. Tale era la nostra intesa che gli stessi segni li usavamo anche in quelle mani di briscola mimata che sono le relazioni famigliari.
Rodolfo Cieri era invece un ballerino di barrio, ballava il tango di suo padre con sincerità e ammirazione. Era tornato in pista con Maria dopo una pausa di molti anni e fu subito un successo. Se le passioni di Maria erano il canto e il canyengue, quelle di Rodolfo erano ballare e i vestiti. Per lui l’eleganza era il modo naturale di essere tanguero. Amava il bordeaux, le camice a righe, le stringhe di velluto, le scarpe lustrate a specchio. E idolatrava Ciriaco Ortiz, che aveva conosciuto personalmente. Sognava molto, Rodolfo, e nei sogni aveva lunghe conversazioni con suo papà. Da sveglio non poteva nominarlo senza sciogliersi di commozione. Come a mio nonno, gli avevano proibito le sigarette, Maria lo braccava con occhio vigile.
Degli anni in cui hanno fatto parte della mia rinnovata Compañia Tangueros, ricordo con tenerezza le prove, i viaggi, le avventure condivise. L’avevo chiamato a interpretare il Greco Kasidis in “Milonga Boulevard”. Erano una coppia felice, il loro affetto e la loro allegria mi restituivano il calore delle cene dai miei nonni, e questo, il ruolo di complice, la destrezza dei segni, la prestidigitazione. Lo schema era lo stesso, ma l’esecuzione era più difficile perché all'accendino ci dovevo aggiungere il faso, che a Buenos Aires è la sigaretta. Dopo gli spettacoli cenavamo a orari polemici, in tavolate da veglione. Rodolfo mi avvisava, roteando gli occhi, che era pronto per fumare, io alzavo il mento per dire “Aspetta”, mentre preparavo Camel e accendino. Poi un tirino con le labbra: “Sono pronta!” Lui si alzava, si fermava vicino a me, mi appoggiava la mano sulla spalla:
- Y, todo bien…?
Voilà, “no se puede hacer màs lento”, lo slogan di Lavand a Las Vegas.
- Bueno, me voy a tomar un cacho de aire…
Tutto filava liscio, entrambi tenevamo il becco chiuso, ossia “muzarela!” con un segno di cerniera sulle labbra.
Il problema era che con lui i miei accendini sparivano per sempre. Se a volte fingevo di non vedere i suoi segnali, lui mi fissava come un ipnotizzatore di galline e io, ipnotizzata, desistevo. Quando anni più tardi ho saputo che Rodolfo non c'era più, ho immaginato che se ne fosse andato per mostrare a papà José quanto tango avesse ballato il suo ragazzo. Ricordo di aver sorriso pensandolo davanti a Las Puertas del Cielo, come il Greco Kasidis, col doppiopetto vinaccia, nastri di gros grain alle scarpe di vernice, occhiali d’oro e una valigia, di sicuro piena di accendini. Se Plutarco ha un senso, so già che cosa Enrico e Rodolfo stanno facendo in questo momento. Ma basta, non vi dico altro: muzarela!
Bellissimo un percorso meraviglioso