Miguel Balmaceda, l'uomo dalle suole di vento
Il mondo, per Miguel Balmaceda, era la milonga di Canning y Cabrera, il leggendario Salón Helénico. Un corridoio e una porta a vetri separavano il tango dal resto della città. Il corridoio, se ci facevi caso, era punteggiato di note e profumava di mate e di facturas. Oltre la porta entravi in quel tempo sospeso tra la terra e l'infinito che erano le pratiche di Miguel y Nelly.
La sola cosa importante per Miguel, il suo unico scopo, era insegnarti a no golpear el piso, a non muoverti a scatti, a ballare fluttuando su un pavimento su cui a stento riuscivi a stare in piedi.
Da Miguel ci andavi a camminare, perché el tango hay que caminarlo. Da come scivolavi con disinvoltura sul tempo, da come riuscivi a trattenere il movimento, a renderlo intenso, dipendevano la tua vita e la tua reputazione. Caminar non era semplicemente andare avanti e indietro, ma era riempire la musica di movenze terrene, con densità, usando il tuo strumento, i piedi, con autorevolezza e soavità. Per questo bisognava "impararlo", il tango, bisognava capirlo, ascoltarlo.
Se il tango è in te si vede da come parli, da come vivi, da come ti comporti, ma soprattutto da come cammini. In Miguel sgorgava sincero, pudico, elegante. Questo mio maestro non era un profesional, non ballava sui tavoli o al Casablanca. Lui era un artista dell'andare. A Canning ci stavi dei mesi a praticare, a fare la sua base cruzada, a cercare di essere sincero nella danza come lo era lui. Pugliese e Di Sarli accompagnavano il suo incedere delicato.
Miguel e la sua compagna Nelly appoggiavano i loro piedi vellutati nello stesso istante, uguale l'intenzione e il respiro. Nei loro passi e nel loro abbraccio c'era tutto quanto serviva per arrivare in quell'altrove, lontano dalle merci, dal mercato, dai festival, dai pacchetti all-inclusive. Quell'altrove dove il tango esisteva ed era vero, ma per andarci dovevi saper incedere con grazia, saper camminare aplomado. Come Miguel.